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di Cecilia Mussini

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Leggendo lo Statuto del Partito Democratico sorprende quanto poco spazio venga dedicato al ruolo dei Circoli e al loro funzionamento. Le parole dello Statuto sono essenzialmente organizzative:

 

“i Circoli costituiscono le unità organizzative di base attraverso cui gli iscritti partecipano alla vita del partito”; “si distinguono in Circoli territoriali, legati al luogo di residenza, in Circoli di ambiente legati alla sede di lavoro e/o di studio, ed in Circoli on-line”; “in ciascuna porzione del territorio e in riferimento a ciascuna sede di lavoro o di studio può essere costituito un solo Circolo”; “gli elettori possono partecipare, senza diritto di voto, alle attività dei Circoli”: devono avere “una Assemblea degli iscritti e un Segretario”.

Circoli

La mozione Renzi proponeva di “ripensare il dirigente del PD sul territorio, a partire dal segretario di Circolo, come un ‘promotore e organizzatore di comunità’, ossia una figura che sappia rappresentare non solo il rapporto con la Federazione e la gestione degli iscritti, ma anche essere riferimento di associazioni, mondi vitali, elettori delle primarie e cittadini, e dunque organizzare periodicamente consultazioni tra questi mondi sui temi dell’iniziativa politica del Partito”.

 

Il concetto è ampliato da Francesco Nicodemo in Disinformazia (2017), laddove il community organizer nel Partito viene definito come la figura in grado di “favorire il dialogo su singoli temi, sui provvedimenti in fase di approvazione, sulle proposte presentate dal partito; [di] tradurre le esigenze e i suggerimenti dei cittadini in piani per gli amministratori da attuare nel concreto [...]; di organizzare la comunicazione [...]; [di] operare una vera e propria analisi dei dati di carattere elettorale, anagrafico ed economico del collegio; [di] sviluppare raccolte di fondi per realizzare progetti nel territorio; [di] formare e informare militanti e volontari [...]; [di] sviluppare relazioni di senso con i corpi intermedi del territorio [...]; [di] favorire [...] gli scambi online/offline tra i gruppi dirigenti locali, gli eletti, i militanti e gli elettori” (p. 230).

 

L’ampia letteratura sul community organizing in ambito statunitense - ma anche tedesco - potrà senz’altro aggiungere elementi a quest’intuizione così da permetterne una declinazione sempre più concreta e aderente alla realtà. Mi permetto però di condividere alcune riflessioni nate dalla mia esperienza di Segretaria di Circolo, relativamente a pratiche che mi pare vadano nella direzione indicata.

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Le riunioni

Non so come sia la situazione negli altri circoli, ma nel nostro la tipica riunione, quella in cui si discute delle cose successe e si parla di questioni amministrative, non è un formato che funziona. Per troppe persone partecipare alle riunioni è un lusso in termini di tempo; la maggior parte delle discussioni politiche avviene in rete (a volte, nel nostro Circolo, sono più vivaci i confronti su Facebook che quelli nella mailing list degli iscritti). I presenti, spesso militanti di lunghissima data, sono quasi sempre gli stessi ed è raro riuscire ad attirare persone nuove; anzi, la mia impressione è che i nuovi, magari incuriositi da eventi e manifestazioni, alla prima riunione rischino di scappare a gambe levate. L’esito? Che nelle riunioni finiamo con il parlarci addosso, con il ripetere all’infinito le stesse discussioni e le stesse dinamiche, senza riuscire a guardare al di fuori del nostro ombelico. Non so quale sia la soluzione, e certo non è pensabile eliminare del tutto questo momento: ma mi chiedo da tempo se non sarebbe meglio delegare tutte le incombenze organizzative ad un Direttivo motivato, magari eletto con consultazioni aperte ai simpatizzanti, lasciando ai “semplici” membri del Circolo (e a chi vi gravita intorno) incontri su temi specifici (alla cui organizzazione ciascuno, coordinato dal Direttivo, possa collaborare in base ai propri interessi e alle proprie disponibilità. Compito del Direttivo sarebbe anche quello di individuare persone potenzialmente interessate e interessanti per collaborare sui singoli argomenti, così da ampliare la rete di relazioni e dunque, potenzialmente, il consenso).

 

Gli incontri tematici

Nel fiume di informazioni che ciascuno di noi riceve, per poter attirare persone “normali” - quelle che non hanno una passione politica fuori dal comune ma sono normalmente interessate a sapere come vanno le cose, pur non avendo moltissimo tempo a disposizione - i circoli dovrebbero a mio avviso farsi promotori di momenti di vera e propria reintermediazione dell’informazione. Dovrebbero cioè saper dare ai partecipanti una visione informata, approfondita, di parte ma non propagandistica, di fatti politici, di temi e di problemi attuali. La funzione che prima veniva svolta dai giornali legati più o meno direttamente al partito - chi leggeva l’Unità o Repubblica sapeva bene di trovarvi una determinata versione dei fatti - e che ora sembra venir meno a causa della trasformazione della fruizione dei media. Con un obiettivo ambizioso: cercare di gettare, a livello locale, il seme per un dibattito pubblico meno immaturo, più profondo, nel quale ci sia spazio per la dialettica e per il confronto. Particolarmente importante sembra, in questo ambito, il ruolo della Segreteria nazionale, come serbatoio di competenze che permetta ai dirigenti locali una formazione continuativa: riterrei ad esempio auspicabile che ciascun responsabile tematico della Segreteria nazionale metta a disposizione delle federazioni e dei Circoli approfondimenti seri sui temi del momento, così da permettere agli stessi dirigenti locali di mantenersi aggiornati sugli aspetti tecnici e politici di quanto discusso pubblicamente sui giornali, in rete e nella vita quotidiana. Sarà responsabilità dei dirigenti locali, naturalmente, far uscire questi materiali dai Circoli per portarli nella società nelle forme ritenute più adeguate a ciascun contesto (ma non va nemmeno trascurata l’importanza di un confronto informato all’interno dei Circoli stessi, così da rafforzare il senso di appartenenza e l’abitudine ad una dialettica sana, rispettosa e robusta).

 

La tessera

L’idea di appartenenza, nella mia esperienza, fa spesso da ostacolo alla partecipazione. Più volte mi è capitato di dover tranquillizzare potenziali simpatizzanti, che scrivevano preoccupati chiedendo se fosse possibile partecipare a qualche riunione o evento pur non avendo mai avuto una tessera in tasca. In un contesto in cui le grandi appartenenze del passato sono venute meno, in cui l’identità dei partiti è in continua trasformazione, in cui in Italia solo il Partito Democratico, di fatto, rimane ancorato a questo modello partecipativo, mi chiedo se non sia più fruttuoso accantonare il valore dato alla tessera come simbolo di appartenenza, a maggior ragione in un contesto in cui la differenza tra elettore e militante è sfumata proprio in virtù dello Statuto stesso del Partito, spingendo piuttosto verso una dimensione di partecipazione diffusa (spetterebbe al Direttivo, come dicevo sopra, la funzione di coordinamento e motivazione). Ridurre drasticamente ed esplicitamente il valore della tessera aiuterebbe, forse, a mantenere un maggiore legame con un elettorato impegnato e fluido che non sente l’esigenza di appartenenza ideologica ma è potenzialmente interessato ad una partecipazione politico-civica.

 

La mobilitazione continua

La partecipazione diffusa non può che passare da una mobilitazione continua che riguardi temi di impatto sulla società e sulla vita delle persone. Se all’estero è spesso più difficile individuare temi di politica italiana che tocchino la quotidianità, anche nel nostro contesto è stato in ogni caso possibile vedere come momenti politici specifici - dalle primarie ai referendum - abbiano mobilitato un elettorato normalmente silente e comunque non legato alla nostra abituale attività politica. Sta ai circoli individuare quei temi che, nei diversi contesti, possano fungere da catalizzatore di interesse; portarli avanti con programmi compiuti e articolati; sviluppare sinergie e capitalizzare l’interesse verso un consenso più duraturo.

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Il porta a porta

In particolare, emerge sempre più pressante la necessità di ricostruire un legame personale con gli elettori, andando letteralmente a cercarli a casa. Che le interazioni online non siano sovrapponibili a quelle face to face non è un mistero; una conferma empirica di quanto questo possa ricostruire la fiducia e la possibilità di dialogo è stata data dall’esperienza del porta a porta durante la campagna referendaria. Bussare a casa delle persone costa certo moltissima fatica, ma permette di vedere la realtà in un altro modo: per me è stato illuminante percorrere il mio quartiere entrando nelle case popolari che vedevo solo da fuori, bussando alla porta di persone che avevano già votato - e in modo diverso da me - ma desideravano chiacchierare e confrontarsi. E d’altra parte non sono mancate esperienze di porta a porta anche da parte di amministratori pubblici italiani (il più noto forse il sindaco di Sarzana, che ha saputo declinare con intelligenza il modello statunitense adattandolo al contesto italiano). Ciò non significa trasformare i militanti in missionari: più semplicemente significa moltiplicare le occasioni di contatto diretto con le persone, affrontando con lo stesso spirito anche i tradizionali banchetti, i volantinaggi, la presenza nei luoghi di aggregazione, anche - se non soprattutto - in periodi lontani dalle consultazioni elettorali.

 

La mediazione tra eletti e territorio

Da perfezionare credo sia anche il ruolo dei circoli nel rapporto con i Parlamentari eletti. Spetta ai Circoli, a mio avviso, svolgere la mediazione: stimolare i Parlamentari nel lavoro su temi precisi, chiedere conto dell’operato e soprattutto cercare di trovare una mediazione politica su questioni specifiche in cui gli interessi di chi governa sono diversi da quelli di chi è governato. L’individuazione del punto di caduta di ogni mediazione spetta ai dirigenti dei Circoli, che devono quindi essere in grado di riportare ai Parlamentari le problematiche più sentite e di individuare il limite nella realizzazione della mediazione, ma anche di dialogare con il proprio gruppo di riferimento nell’illustrare i termini della mediazione, consentendo di minimizzare l’impatto negativo di ogni cambiamento in chi lo subisce e allo stesso tempo di favorire complessivamente una risposta positiva nell’elettorato.

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L’autofinanziamento

Altrettanto importante mi pare sia l’individuazione di forme di autofinanziamento a livello locale che permettano ai singoli circoli di finanziare la propria attività. Spesso - e lo dico per la personale esperienza di imbranata - manca competenza sull’argomento, e ancora una volta credo che sia il Partito nazionale a doversi fare carico dell’incombenza della formazione dei militanti e dei dirigenti, dal momento che l’attivazione di piattaforme di crowdfunding non fa ancora parte delle competenze socialmente diffuse (e vendere torte ai margini di un evento, cosa meritoria che abbiamo fatto tutti, rischia di non aiutare in modo decisivo a coprire le spese per quel lavoro continuativo e capillare che ho descritto sopra).

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Il partito della Qualità

“Di fronte alla sfida della quantità, il PD dovrebbe diventare il partito della Qualità”, scrive Giuliano da Empoli. Perché ciò accada, occorre ancora una volta insistere sulla necessità di formazione permanente di militanti e Dirigenti. Non serve diventare tutti intellettuali - ammesso e non concesso che un intellettuale sia necessariamente un buon politico - né si può richiedere a un dirigente volontario di dedicare alla formazione ogni secondo del suo tempo libero. Ma proprio per questo serve un Partito che, a livello centrale, sappia mettere a disposizione dei territori strumenti di analisi, di comunicazione, di formazione e di approfondimento in modo che la Qualità possa essere il più possibile estesa, possa circolare e far fermentare idee e pratiche amministrative.

Forse, anzi, si potrebbe partire da qui: da un database aggiornato di tutte le pratiche amministrative di successo, migliore strumento per contrastare il rumore in rete e migliore stimolo per tutti coloro che si avvicinano ad un incarico politico o amministrativo.

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