La fragilità del sistema bancario italiano
- Marco Onorato
- 11. Mai 2017
- 8 Min. Lesezeit

Nel giorno dell’anniversario della morte di Pio La Torre, il 30 aprile 2017, il Partito Democratico rilancia la sua scommessa per il futuro del Sistema Paese Italia. La vittoria schiacciante di Matteo Renzi alle primarie del PD è al tempo stesso un chiaro segnale di continuità con il lavoro svolto precedentemente dal Governo, ed anche l’inizio di una nuova importantissima partita in cui sarà cruciale la narrazione dell’Italia dei prossimi venti anni che il PD di Renzi proporrà agli italiani.
La «storia nuova» deve partire necessariamente da un presupposto di realismo. Il gattopardismo che ha contraddistinto una certa sinistra non ci appartiene, noi vogliamo che “tutto cambi davvero”. Abbiamo iniziato dalla riduzione dell’indice di disoccupazione all’11.7%, (segno inconfutabile che il Jobs Act e un mercato del lavoro flessibile creano posti di lavoro), dalla diminuzione delle tasse, dall’abolizione di IMU, Tasi, Irap, passando per il taglio dell’Ires e per il cuneo fiscale. Abbiamo provato a stimolare gli investimenti con lo Sbloccaitalia e Industria 4.0. Per la prima volta gli investimenti in tecnologia a medio e lungo termine sono stati al centro dell’agenda politica italiana. La nostra battaglia non è fatta solo di numeri ma anche di diritti. Pensiamo alla legge sul “Dopo di noi”, alla legge sul caporalato, alla legge per le unioni civili, al reddito d’inclusione.
La disamina critica del Governo Renzi non può tacere, tuttavia, una situazione ancora grave e preoccupante come quella italiana. Il problema italiano resta fondamentalmente un problema di produttività. L’unico modo per far ripartire il Paese è avere il coraggio di riformare il sistema economico. Questa è la vera sfida a cui è chiamato il PD: ripensare il Paese, raccontarlo in modo nuovo agli italiani e ai competitors mondiali, rilanciare in modo vincente la sfida con il futuro. Ad oggi non esistono degli incentivi economici adeguati per aumentare la produttività e dunque la crescita del PIL. Purtroppo, senza una crescita stabile, il welfare e tutti quei diritti sanciti dalla prima parte della costituzione non possono essere più tutelati, ma non basta, senza crescita il debito italiano, terzo stock di debito al mondo, non è categoricamente più sostenibile.
Ci siamo interrogati a lungo sul perché l’Italia non cresce più. Le cause non sono solo di natura contingente, legate agli effetti negativi della crisi, ma hanno una natura più strutturale e profonda.
Andiamo per gradi. L’Italia è stata colpita molto duramente dalla crisi, ce lo spiegano bene i dati riguardanti il PIL dei principali paesi occidentali. Negli Stati Uniti, luogo in cui la crisi è nata, la ripresa è stata molto veloce. Oggi gli USA hanno un PIL del 15% superiore a quello che avevano nel 2007. Dinamiche analoghe si sono verificate in Germania e, in maniera parzialmente diversa, anche in Inghilterra e in Francia. Ad oggi anche la Spagna viaggia intorno al 3%. Solo l’Italia è molto indietro. La lentezza italiana rispetto ai principali competitors è figlia di un sistema economico caratterizzato da una spiccata arretratezza tecnologica e da un tipo di «capitalismo di relazione». Per capitalismo di relazione intendiamo un intreccio perverso di politica ed economia in cui si investono i soldi dei consumatori/contribuenti nei progetti degli amici e penalizzando, cosi, programmi a più alta produttività. Questo groviglio malsano del tessuto sociale ed economico comporta una riduzione dell’efficienza e quindi una riduzione della crescita economica. Cosa possiamo fare per uscirne?
La riforma del sistema economico deve partire necessariamente da una riforma strutturale del sistema bancario. Non avremo sviluppo se non riusciremo a risolvere la crisi bancaria italiana. Un caso accademico di facile lettura è la Spagna che non a caso è riuscita a girare pagina solo dopo aver avuto un’iniezione di liquidita nel sistema bancario, a seguito della firma del Memorandum Uderstanding con l’Unione Europea. Da quel giorno la Spagna cresce al 3%.
Il problema bancario italiano è molto complesso nelle sue diramazioni e interconnessioni e rappresenta un unicum da dipanare in modo organico. Non è più pensabile di risolvere la questione concentrandoci su provvedimenti ad hoc studiati per il singolo caso, come abbiamo fatto in questi anni. Volendo utilizzare una metafora che appartiene a Luigi Zingales, possiamo affermare che il problema bancario non è risolvibile con «l’approccio del pompiere»: la politica arriva solo quando c’è l’incendio e tenta di spegnerlo, per poi aspettare il prossimo incendio sperando che non sia più devastante del primo. Questo approccio funziona benissimo in una situazione in cui una banca fallisce per motivi idiosincratici, ma nel complesso il sistema bancario funziona. In Italia molte banche sono in crisi e risolvere un caso alla volta può essere estremamente pericoloso in quanto molti prezzi nell’economia reale sono depressi proprio perchè le banche non riescono ad uscire dalla crisi. Ad esempio, i prezzi immobiliari sono depressi dal fatto che ci si aspetta che aumenteranno gli immobili in liquidazione, questo farà si che i prezzi delle case scenderanno e la scelta d’investimento sarà rinviata in un prossimo futuro in cui ci sarà la possibilità di comprare lo stesso bene ad un prezzo minore. Questa attesa degli attori economici è un vero e proprio loop che non permette di uscire dalla crisi. Oggi abbiamo la necessità di un nuovo approccio complessivo che aiuti il sistema a girare pagina e a cambiare gioco.
La storia nuova di cui parla Matteo Renzi deve partire da un’inchiesta economica seria per capire cosa sia successo. I dati esistono, serve assolutamente far luce su questa situazione. Soltanto se partiamo da qui possiamo recuperare la fiducia dei risparmiatori nel sistema bancario e quindi nel sistema economico. Soltanto se partiamo da qui possiamo stimolare la domanda interna e dunque i consumi. Non dimentichiamo che il sostegno alla domanda di consumo non può avere successo se non si garantisce ai cittadini una riduzione dell’incertezza sulle prospettive a medio termine della nostra economia.
La fiducia degli italiani passa inevitabilmente da due importanti risposte che l’inchiesta economica di cui parlo dovrà fornire. Le perdite del sistema bancario sono frutto della sfortuna, ossia derivanti dalle circostanze avverse della crisi, oppure c’è stata anche dell’incapacità per non parlare del dolo ? e nel caso di dolo o di incapacità dei governanti quali sono stati gli impedimenti che hanno causato il ritardo di Banca d’Italia nel svolgimento delle sue funzioni costitutive?
La crisi, è vero, c’è stata ed ha distrutto ¼ della produzione italiana. Ma è anche vero che le banche italiane sono state aiutate dall’Unione Europea. Le politiche LTRO (long-term refinancing operation) di Mario Draghi hanno trasferito 25 miliardi nelle casse delle banche italiane attraverso prestiti fatti all’1% quando i tassi italiani a 3 anni erano nel 2011 al 5.4% e al 2.9% a fine febbraio del 2012. Inoltre se proviamo a decomporre le perdite per classe dimensionale noteremo qualcosa di veramente anomalo.
La teoria economica ci dice che le banche hanno una capacita maggiore nel prestare soldi ad imprese di grandi dimensioni, poiché esistono maggiori informazioni a riguardo e poiché queste imprese sono generalmente più solide rispetto alle imprese di piccole dimensioni, per le quali l’analisi della loro capacita di generare cash flow risulta più difficile. Dunque per imprese di grandi dimensioni le perdite dovrebbero essere più basse rispetto alle imprese di piccole dimensioni. Dai dati di Banca d’Italia le sofferenze per i prestiti superiori ai 25 milioni ed i prestiti tra i 25 ad i 250 mila euro sono molto limitate. Dove invece troviamo il disastro finanziario è tra i prestiti tra i 500 mila ed i 25 milioni. Da questo dato lampante emerge un aspetto innegabile: le banche facevano male il loro mestiere. Ricordiamoci che i prestiti sotto i 500 mila euro vengono fatti automaticamente attraverso degli algoritmi che tengono conto delle caratteristiche del cliente e forniscono automaticamente una risposta sull’erogazione del prestito. Con questo ordine di grandezze l’attività del banchiere è minima perché lo strumento informatico sopperisce in pieno nell’aspetto tecnico. Il valore aggiunto del banchiere sta invece nella discrezionalità sui prestiti più elevati, a partire dalla soglia di 500 mila euro. Nel caso delle banche italiane sembrerebbe che questo valore aggiunto sia stato ampiamente negativo.
Uno studio di Luigi Zingales sui principali 30 debitori della Banca popolare di Vicenza puo essere chiarificatore a riguardo. L’approfondimento esamina la situazione patrimoniale dei principali debitori della BPdV al 31/12/2008 in modo da capire se quest’ultimi sono diventati insolventi a seguito della crisi finanziaria, e quindi la banca è stata sfortunata nel prestare soldi a questi soggetti, oppure questi debitori erano già dei soggetti non meritevoli di credito. Il 35% delle imprese finanziate al 31/12/2008 ha un margine operativo lordo (EBITDA) negativo oppure un patrimonio netto negativo oppure entrambi. Quindi sostanzialmente queste imprese non sono imprese colpite dalla crisi ma già da prima della crisi non risultavano sane. Guardiamo ora alle imprese rimanenti ossia quelle con un margine operativo lordo positivo. In finanza, per avere un’idea su quanto una banca puo prestare ad un cliente si utilizza un ratio ossia un rapporto che vede al numeratore la posizione finanziaria netta ed al denominatore il margine operativo lordo, normalmente questo rapporto varia in un range di 6/7, cio vuol dire che se si utilizza tutto il cash flow dell’azienda ci vorranno 6/7 anni per ripagare tutti i debiti contratti. Ebbene, la media delle imprese rimanenti aveva un rapporto pari a 55 e la mediana di 20. Quindi più del 50% di queste imprese avrebbe richiesto più di 20 anni per ripagare i debiti esistenti. Tradotto in linguaggio corrente queste imprese non erano assolutamente affidabili.
Perché Banca d’Italia non è intervenuta tempestivamente? Questi calcoli sull’affidabilità non sono stati fatti oppure pur sapendo non si è voluti intervenire? Oggi dobbiamo ripartire da qui. Dobbiamo ripartire da queste domande ma al tempo stesso dobbiamo fornire una soluzione affinché si possa risolvere la situazione attuale e ripartire.
Andrea Enria, capo dell’ ECON, ha proposto di creare una grande Bad Bank che compri tutti i crediti in sofferenza a dei prezzi di favore e lentamente faccia ripartire le banche. Una soluzione del genere significherebbe solo trasferire le enormi perdite dal sistema bancario ai contribuenti senza nessun vantaggio, infatti, se pure il sistema bancario dovesse riprendersi con questa operazione il contribuente non ci guadagnerebbe nulla e la sua fiducia di certo non salirebbe.
Negli Stati Uniti, invece, l’allora ministro delle finanze Henry Paulson propose sostanzialmente l’acquisto da parte del governo dei cd «mutui tossici», ma il parlamento voto contro e Paulson fu costretto ad approvare un piano rivisto che prevedeva un’iniezione massiccia di liquidita nel sitema bancario, da parte dello Stato. In questo caso, a differenza della Bad Bank, il contribuente entrerebbe nel capitale azionario delle banche a condizioni molto svantaggiose per le banche stesse che avrebbero però la possibilità di ricomprare il capitale ed essere libere dall’ingerenza statale. Il vantaggio di questa operazione sono i tempi molto rapidi e il suo carattere di equità. Nel senso che se siamo di fronte ad una banca solida, allora quest’ultima potrà ricomprare dallo Stato le azioni e non perderà nulla anzi correrà il rischio di ritrovarsi più capitalizzata. Al contrario, se invece siamo di fronte ad una banca non solida, allora quest’ultima non sarà capace di raccogliere capitale di rischio per ricomprare le proprie azioni. In tal caso lo stato subentra come unico azionista eliminando gli azionisti precedenti ed in quanto tale avra tutto l’upside di una possibile ristrutturazione, avendo l’opportunita di guadagnarci ed in questo caso a guadagnarci sarebbe il contribuente.
Il dibattito è aperto e molto complesso. Tuttavia è questo il piano su cui si giocherà la nostra partita. Se si vuole crescere e vincere la sfida con il futuro bisogna risolvere il problema bancario. La storia nuova di Matteo Renzi ha bisogno di un nuovo approccio: non si può più chiedere ai contribuenti di pagare gli errori fatti dalle banche. Oggi tutti gli attori economici e politici sono chiamati a un atto di responsabilità. Vogliamo che l’Italia riprenda a correre, riprenda ad essere competitiva nel mondo e al tempo stesso culla dei valori di umanesimo e civiltà. I due aspetti sono strettamente legati, oggi più che mai. Ripensiamo nuove soluzioni per riformare il sistema bancario e raccontare una storia nuova che faccia riscoprire fiducia agli italiani.
























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