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Superare la parola “Sinistra”... ...ed offrire soluzioni progressiste per ripartire, o prepararsi al

  • Marco Basile
  • 10. Mai 2018
  • 10 Min. Lesezeit

È passato ormai oltre un mese dalle elezioni. Il PD ha avuto un risultato drammatico, inutile nascondersi. Il famoso 40% delle Europee rappresenta un lontano miraggio. Abbiamo letto tante analisi sulle cause della sconfitta, in realtà poche delle quali provenienti dalla dirigenza del partito, molte da analisti, simpatizzanti e commentatori. La più centrata secondo me é stata quella di Enzo Puro, di cui ripubblico il link per chi se la fosse persa. Inutile nascondere anche che il PD si trova in questo momento in una situazione critica, probabilmente la più difficile dall’inizio della sua storia, e soprattutto, si trova ad affrontare la prima crisi cui potrebbe non sopravvivere. In ogni caso, ormai il latte è stato versato, inutile piangerci addosso oppure concentrarsi sulla caccia alle streghe ed ai colpevoli, che sono un po’ ovunque. Ognuno ha avuto le sue colpe, ognuno di noi la nostra parte di responsabilità. L’unica cosa che ci è rimasta da fare è provare a guardare avanti e ripartire, guardando al futuro.

Certo, provare a ripartire, guardando il PD di oggi, è abbastanza sconfortante. Cos’è il PD oggi? Un partito in cui abbondano le discussioni interne, ma che non ha più una linea politica chiara, non ha una leadership chiara, è praticamente un contenitore senza contenuti, o meglio, con tanti contenuti quanti i suoi iscritti, perennemente in discussione tra di loro. I difetti storici del PD (autoreferenzialità, correntismo, panni sporchi lavati in pubblico sui giornali, distanza crescente dal proprio elettorato), già molto acuti nel passato recente, sono esasperati in questa fase dalla mancanza di una leadership e di una linea politica definita e sono diventati il fondamento e la ragion d’essere stessa del partito. C’è un’immagine un po’ macabra nella cultura popolare spagnola: quella della gallina cui è stata mozzata la testa dal contadino che, prima di morire, continua a correre senza testa e senza meta nell’atrio della fattoria, confusamente, spargendo sangue ovunque. Ecco, il PD attualmente mi sembra esattamente il famoso “pollo sin cabeza” della cultura popolare spagnola.

Cosa dovrebbe fare per uscire da una situazione simile (impresa che definire ardua mi sembra riduttivo) il futuro leader del PD?

Provo a dare alcuni spunti, ovviamente molto personali, e probabilmente scomodi in quanto non largamente condivisi nel partito (per non dire molto minoritari) al puro scopo di alimentare la discussione, su alcuni temi ritengo siano centrali:

1. Superare la parola sinistra.

È innegabile che la sinistra ha sempre avuto la tendenza a dividersi più che ad unirsi, e proprio uno degli argomenti chiave su cui dividersi è sempre stato il dibattito tra “chi fosse piú di Sinistra”. Renzi, ovviamente, è stato considerato da molti, in questo contesto, un oggetto estraneo per quanto poco fosse (o sembrasse, a seconda dei punti di vista) di sinistra, tanto da scatenare una vera e propria rivoluzione dell’ex establishment del partito (poi definito “minoranza interna”), che, attraverso il susseguirsi di eventi, odi e ripicche che tutti conosciamo ha portato alla nascita di Liberi e Uguali; formazione che, a sua volta, abbiamo visto come sia stata snobbata alle elezioni da una parte dei puristi di sinistra a favore di Potere al Popolo, alla cui sinistra si erano formate altre formazioni di duri e puri, ognuna in lotta con le altre per la egemonia della parola “Sinistra”. Intanto, mentre noi ci scornavamo e facevamo “a chi era più di Sinistra”, moltissimi dei voti che erano storicamente “di Sinistra” (non dico solo PD, ma anche PCI e DS) sono confluiti nel Movimento 5 Stelle ed addirittura nella Lega. Questi partiti non mi sembra siano formazioni che abbiano fatto vanto di essere “di Sinistra”, ma hanno saputo offrire soluzioni considerate valide e meritevoli di un voto a certe fasce della popolazione minacciate dalla globalizzazione, dal decadimento della classe media, dalla riduzione della retribuzione del lavoro non qualificato, e che spesso vivono l’immigrazione come una minaccia. Soluzioni come la lotta all’immigrazione clandestina o il reddito di cittadinanza. Non entro nel merito del fatto che queste proposte siano corrette o non corrette (ovviamente, penso siano sbagliatissime), ma se il 51% degli Italiani ha votato Lega o 5 Stelle, e tra questi anche molti ex elettori di PCI, DS e PD, chi ha sbagliato qualcosa sinceramente siamo noi e non loro. E a chi pensa che si possa recuperare questo elettorato sbandierando più forte la parola “Sinistra” e con le logiche e le soluzioni del secolo scorso, risparmiandomi anche di citare Gorgio Gaber (ci siamo capiti..), auguro semplicemente buona fortuna.

2. Ripartire non dai circoli, ma dall’ascolto reale dei territori.

Si fa tanto parlare in questi giorni dell’esigenza di “Ripartire dai Circoli”, frase sacra da tirare fuori nel PD dopo ogni sconfitta.

Ma, in fondo, cosa sono i Circoli e quanto contano?

So che è una domanda scomoda, specie per la comunità PD.

Ma, da militante quale sono e Segretario di Circolo quale sono stato, a volte me lo chiedo davvero: i circoli rappresentano una ricchezza o sono un ostacolo?

I partiti che hanno vinto ultimamente in Italia e altri paesi hanno vinto in conseguenza e per merito di un radicamento importante sul territorio?

Il M5S ha vinto per l’attività e la presenza territoriale dei suoi Meet Up? E Macron, che ha costruito un partito in poche settimane?

Sinceramente, credo di no. Molti dei candidati 5 Stelle erano totalmente sconosciuti ai suoi votanti, e, a volte, soprattutto a Sud, hanno vinto proprio perché rappresentavano il nuovo e il fresco, contro i baroni locali della Destra e del PD.

Allora, quale dovrebbe essere il ruolo dei Circoli nel futuro del PD? Siamo sicuri che bisogna ripartire da lí?

Se i circoli rappresentassero un'appendice del partito nei territori capace di assorbire il sentire comune e i problemi dei cittadini residenti in quell’area ed offrire soluzioni mirate, come in un processo di osmosi con la realtà territoriale, e rappresentassero una piattaforma in grado di evangelizzare e amplificare la comunicazione e la linea politica del partito nei territori, potrebbero senza dubbio rappresentare una grande ricchezza. Ma se, come spesso ho osservato, sono solo centri di potere di piccoli dirigenti locali in cerca di visibilità e opportunità, spesso in lotta tra di loro come piccoli baroni feudali, o luoghi in cui si litiga tra correnti, chiusi nelle sezioni e senza partecipare alla vita pubblica della comunità in cui risiediamo, possono rappresentare degli ostacoli piú che dei volani per il successo del partito sul territorio, confondendo l’elettorato sui social e sul territorio con un rumore di fondo che distoglie l’attenzione dai temi centrali e dalla strategia di comunicazione della Direzione Centrale del Partito. È dai Circoli che iniziano il correntismo e le lotte di potere che arrivano fino alla direzione nazionale. È da lì che inizia il gioco a sparare sul leader attuale per cercare visibilità.

Bisogna ripensare alla struttura del partito in modo che non perda contatto con la società. Senza voler scendere ai livelli della (ipotetica e mai vista) democrazia diretta dei 5 Stelle, ci sono tante forme di ascoltare la propria base e la propria comunità, sia da parte dei dirigenti locali oltre che dai dirigenti nazionali. Oggi la tecnologia non manca, bisogna usarla, soprattutto per guardare ed ascoltare. Come disse il saggio, non è un caso che siamo nati con due occhi e due orecchi ed una sola bocca. Ma oggi, nel PD, si parla tanto, soprattutto tra di noi e gli uni contro gli altri, e si ascolta poco, soprattutto chi dovrebbe votarci.

3. Chiarire chi è oggi la nostra “target audience” e offrirle una linea politica chiara.

Ma per ascoltare la base bisogna prima definirla. Chi rappresenta la nostra base oggi? Gli iscritti, i simpatizzanti, i votanti?

Il PD vuole essere il partito che sostiene le istanze degli ultimi, dei lavoratori, della classe media, dei piccoli artigiani, ma ci votano ai Parioli, i ceti medio alti e istruiti, i dirigenti e i pensionati e ci detestano gli studenti nelle università e i giovani nelle periferie e al sud.

Ergo, abbiamo un chiaro problema di identità.

Dico da tempo che la lotta di questo secolo non è più tra capitale e lavoro e tra destra e sinistra, ma tra apertura e chiusura, tra nazionalismo e europeismo, tra populismo e responsabilità, tra conservatorismo e progressismo sui diritti.

Io credo che oggi un Partito Democratico realmente moderno debba rappresentare tutti quelli che vogliono maggiore apertura, maggiore transnazionalismo, europeismo e integrazione, maggiore progressismo sui diritti civili, serietà e responsabilità della politica, maggiori libertà individuali, incluso personali, anche di fare impresa e di realizzarsi professionalmente, con un welfare che assicuri a tutti le stesse opportunità di partenza ma che non elevi oltremodo il carico fiscale già opprimente in Italia.

Questa secondo me deve essere la nostra target audience.

E vi posso assicurare che è una base ampia, forse non maggioritaria oggi, ma ampia.

A questa target audience dobbiamo costruire e offrire una linea politica chiara su quello che vogliamo che l’Italia sia non nei prossimi mesi, ma nei prossimi 20 anni.

Secondo me il primo Renzi era riuscito a costruire un consenso forte (il famoso 40% delle Europee) proprio perché, al di là del suo carisma personale, era riuscito a proporre un progetto di Italia a lungo termine: più semplice (Riforma P.A.), più accogliente (Gestione dei Flussi migratori), più governabile (Riforma Costituzionale), più flessibile e meritocratica (Jobs Act), più giusta (Diritti Civili), e con più peso in Europa per poter aiutare a cambiare le regole Europee e per essere un ponte nel mediterraneo verso il nord Africa nello scacchiere politico-economico. Molte di queste riforme sono state compiute. Alcune a metà, su alcune abbiamo sbagliato qualcosa e ci siamo giocati il consenso. Forse Renzi come leader oggi è bruciato, ma secondo me la sua idea di Italia è ancora quella giusta, e si può tornare a raccogliere il consenso che aveva raccolto lui, dentro o fuori il PD, magari con un altro leader, magari provando a non ripetere gli stessi errori.

4. Smettere di vergognarsi delle parole “Leadership” e “Marketing”

Queste due parole per noi di sinistra hanno sempre rappresentato un tabú.

Iniziamo dalla Leadership. Nel PD è per molti una parolaccia, che deve essere sostituita da un’altra parola sacra: Consenso.

Di fatto, è sempre stato un nostro punto di forza. Un partito Democratico che discute e decide insieme. Bellissimo l’esercizio democratico di un partito che é contendibile attraverso primarie aperte, che sono state molte volte per noi il punto più alto di discussione democratica. Ma è anche vero che di troppa democrazia si muore. Se, finito il congresso, le posizioni delle diverse mozioni e correnti restano immutate dentro il partito, e diventano la base per negoziare incarichi, e si incrostano in polemiche sterili e strumentali, il bellissimo esercizio democratico e la democrazia interna diventano un limite invece che una forza.

Ormai, in mancanza di leadership, siamo schiavi del nostro stesso Statuto. Schiavi della nostra stessa discussione interna, che ci immobilizza, ci paralizza, e che risulta stucchevole e stancante per la gran parte dell’opinione pubblica che non segue pedissequamente la telenovela in streaming delle direzioni e assemblee PD (che per gli appassionati invece risulta più avvincente di Game of Thrones).

Non vorrei arrivare all’estremo dei Partiti Spagnoli, dove il Segretario o Presidente del Partito (spesso anche a sinistra) è il leader assoluto che decide tutto, candidature, liste, linea politica e finanche espulsioni e dove i parlamentari sono tenuti alla disciplina di voto pena l’espulsione (almeno senza multe!), ma secondo me il dibattito continuo sta sfiancando il partito e soprattutto i propri elettori, che vogliono sapere quando danno un voto a un partito a che linea politica e a che idea di Italia lo stanno dando.

In quanto al marketing, direi che il nostro problema al rispetto si delinea in due aree fondamentali: la comunicazione e le ricerche di mercato.

Il marketing e la comunicazione in politica sono fondamentali. Il prodotto che vendiamo è il nostro messaggio. Il modo in cui raccontiamo la nostra storia, il modo in cui dettiamo l’agenda, o ce la facciamo dettare dai giornali o dai social, rappresentano la chiave di volta tra la vittoria e la sconfitta. Renzi era riuscito a creare uno “storytelling”, all’epoca delle primarie vinte, che era riuscito a convincere tanti. Da dopo le europee, un po’ per il peso dell’azione governativa, un po’ per la supponenza derivata dal sentirsi invincibile, un po’ per le continue polemiche interne, non ne abbiamo più presa una. Siamo arrivati alle politiche sfiancati da tante campagne elettorali (europee, referendum, nuove primarie, politiche), cambiando linea continuamente, passando dallo storytelling su mamme, casa e lavoro (a mio avviso completamente staccato dai problemi reali del nostro elettorato), fino ad arrivare con uno spot che su per giù diceva: “vabbè, non saremo il massimo, qualcosa abbiamo fatto, ma tra questo e i populisti meglio votare PD”. Non certo una narrazione appassionante e capace di scaldare i cuori, sinceramente.

In quanto all’utilizzo delle ricerche di mercato, bisogna ammetterlo, Berlusconi era il mago indiscusso. Commissionava continuamente analisi di mercato che lo aiutavano a leggere con precisione ansie e desideri del suo pubblico obiettivo, per capire esattamente quali sarebbero stati i “driver” principali del voto, e quindi tirare fuori dal cilindro proposte “magiche” (il milione di posti di lavoro, l’abbattimento dell’IMU, etc), spesso a pochi gorni dal voto per destabilizzare la campagna elettorale. E così come Berlusconi era un mago ai tempi dei media tradizionali che dominava (TV e giornali), la Casaleggio Associati e i 5 Stelle sono ora i maghi a fare lo stesso nel nuovo mondo digitale. Noi, decisamente, no.

Utilizzare strumenti di marketing per analizzare il sentire degli elettori non è uno strumento “cattivo” o “non etico” di per se. Può essere molto utile nella misura in cui le proposte che derivano dall’analisi continuano ad essere serie e realizzabili, e coerenti con i nostri valori.

In un’epoca in cui la comunicazione politica ha raggiunto livelli altissimi di specializzazione e professionalità, non ci si può affidare a volenterosi attivisti, ma bisogna contrattare professionisti qualificati ed esperti per l’analisi e per costruire lo storytelling. L’avessimo fatto (o l’avessimo fatto meglio), probabilmente, non avremmo preso il 18%.

Conclusioni.

Purtroppo, dubito che il cammino che intraprenderà il PD andrà in questo senso, e, probabilmente, a meno di miracoli o dell’avvento di un nuovo Messia (secondo voi Papa Francecso è disponibile a fare il Segretario PD?), saremo destinati all’irrilevanza, se non all’estinzione, come ha commentato finanche Maurizio Martina nella sua relazione all’ultima Direzione Nazionale, a mio parere molto centrata nell’analisi, ma abbastanza carente nelle proposte, fatto salvo un appello quasi ecumenico all’unità e al consenso.

I problemi dell’attuale PD sono molto strutturali, e la dirigenza attuale tutta (di ogni corrente) è a mio avviso così immersa nelle beghe attuali da non riuscire a fare l’esercizio di astrarsi e guardare dall’alto la situazione per tornare a pensare con lucidità ed identificare le vie d’uscita migliori per il lungo termine. Al contrario, tutti continuano a vivere alla giornata e a cercare le risposte dalle parti sbagliate, concentrandosi sul corto periodo e sulla sopravvivenza personale.

Sinceramente, che peccato. Che peccato che il Partito che Veltroni disse avrebbero dovuto votare i nostri figli finsca così, dopo poco più di 10 anni di vita. Spero davvero che non vada a finire così, ma non ho molta fiducia che possa andare diversamente. Spero davvero di essere solo stanco.

Personalmente, dopo che a questa idea di Italia che propugnava Renzi, che mi ha fatto sognare e sperare che un cambio fosse possibile, ho dedicato 5 anni del mio tempo libero, da militante lavoratore come tanti altri, regalando tanti weekend, soldi, serate, viaggi a questo partito, mi domando se valga la pena continuare.

Prima, almeno, lottavo per un motivo ed una idea. Ora, pensare ad altri 5 anni di dibattiti sterili, polemiche interne, ego più o meno grandi di dirigenti locali o nazionali più o meno grandi, mi provoca uno sconforto abbastanza importante.

Forse, vale la pena aspettare un nuovo progetto progressista ed europeista, moderno e finalmente libero dalla pesante zavorra di esperienze e storie precedenti, sulla scia di movimenti come Ciudadanos in Spagna o La Republique en Marche in Francia, per ritornare a credere davvero in un progetto che possa scaldare i cuori e in un partito con una forma definita, una leadership forte e una linea politica chiara.

O forse, riusciremo a fare in modo che il PD sia questo partito.

“Lo scopriremo solo vivendo...”

Marco Basile


 
 
 

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