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Regno Unito: l’instabilità parla inglese

  • Mina Zingariello
  • 9. Juni 2017
  • 4 Min. Lesezeit

I risultati delle elezioni britanniche invocate da Theresa May per avere legittimità e mandato politico in sede di negoziati per la Brexit hanno portato molte sorprese, soprattutto alla stessa Theresa May.

La differenza con le elezioni del 2015 – due primarie Labour, una primaria Tory e un Referendum sull’Unione europea dopo – consegna un’immagine del paese polarizzato e diviso quasi perfettamente alla metà: 42% Tories contro un incredibile 40% Labour. I Conservatives guadagnano 5 punti percentuali rispetto al 2015 marcando un risultato che in qualsiasi altro contesto sarebbe stato buono. Ma la rimonta Labour ha dell’eccezionale, guadagnando ben 10 punti dal 30.4% del 2015.

Polarizzazione Corbyn-May

Siamo in un contesto altamente polarizzato con due offerte identitarie nettamente diverse: da un lato Jeremy Corbyn e la sua proposta di società che riscopre il senso di comunità e condivisione, che parla ai più vulnerabili e rinuncia unilateralmente alle armi nucleari: una visione romantica con un retrogusto vagamente populista anni ’70.

Dall’altro lato Theresa May con una proposta di austerity e tagli, che promettono crescita e stabilità attraendo grandi investimenti esteri, ma accentuando le disuguaglianze tra i ricchissimi e tutti gli altri.

La strategia di Corbyn di non parlare di Europa e spostare l’attenzione sul Regno Unito ha pagato. A livello domestico gli è stato facile accusare i Conservatori di aver tagliato ogni voce di bilancio tagliabile a discapito della qualità di servizi chiave nella tenuta sociale di questo paese, primi tra tutti salute e sicurezza dopo gli attacchi terroristici.

L’arroganza e la mancanza di preparazione di Theresa May, uniti al suo rifiuto di confrontarsi apertamente con Jeremy Corbyn hanno fatto il resto.

Il voto giovanile

Non ci sono ancora dati chiari, ma sembra che per la prima volta i giovani 18-24, unica categoria di età nettamente favorevole al Labour, abbia votato con la stessa affluenza della categoria 55-65 che tradizionalmente vota di più, e vota Tory.

E’ una buona notizia, ma una che lascia un po’ di amaro in bocca. Questa formidabile campagna di Jeremy Corbyn e la sua indiscussa capacità di mobilitare ed emozionare i giovani getta ancora più ombre sulla campagna fatta per il Remain, se mai ce ne fosse bisogno, visto che erano stati proprio i giovani a non votare. Un coinvolgimento emotivo più deciso di Corbyn nel Referendum sarebbe stato sufficiente a far vincere il Remain? Probabilmente sì, e questo è ancora più chiaro oggi di quanto non lo fosse la settimana scorsa.

Parlamento diviso

Il Parlamento è dunque diviso, e nessun partito da solo arriva alla maggioranza di 326 seggi: i Conservatives si sono fermati a 318, i Labour a 261. Il seggio di Kensinghton – storica roccaforte Tory – è sospeso per riconteggio perchè i risultati sono troppo vicini. A metà mattinata Theresa May ha fatto sapere che non si dimetterà, e formerà un governo con il Democratic Unionist Party (DUP), partito per l’unione irlandese che si oppone all’aborto, nega il cambio climatico e si batte contro il matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Ammesso che Kensinghton vada ai Tories, Theresa May e DUP insieme arriveranno a 329 seggi che permetteranno loro di formare un governo di coalizione con soli 3 voti di maggioranza. Non abbastanza per avere un governo efficace, e sicuramente non abbastanza per negoziare l’accordo sulla Brexit con l’Unione Europea.

La posizione di Theresa May è a questo punto molto ironica: timida Remainer, forma un governo hard brexiter dopo la sconfitta di David Cameron per un Referendum che si sarebbe potuto non fare, e a sua volta invoca una snap election che avrebbe potuto non chiedere, per guadagnare una legittimità politica che a questo punto non avrà mai.

Se mai ci dovesse essere un manuale Conservatives per la buona leadership, l’evitare di convocare elezioni non necessarie, per poi perderle, meriterebbe certamente un capitolo a sé stante.

Che succede ora con la Brexit?

Gli scenari sono molti e tutti molto discordanti. Quello che sembra chiaro è che per il momento la Hard Brexit potrebbe essere scongiurata. Con un governo così debole la May dovrà continuamente tornare il Parlamento e chiedere legittimità per ogni mossa o proposta. Il risultato è un apparente aumento di potere negoziale da parte dell’Unione Europea, ma probabilmente porterà a tempi negoziali molto estesi, e a grande incertezza.

Come ha twittato il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk: non sappiamo quando le discussioni cominceranno, ma sappiamo quando devono finire. Evitiamo un “non accordo” come risultato per una “non negoziazione”.

Il rischio ora è quello di ritardi così prolungati da inificiare l’intero processo. Non sono da escludersi tensioni tali in Parlamento da rendere necessarie nuove elezioni tra pochi mesi, o addirittura un nuovo Referendum.

Il Labour Party fa campagna unito

Una cosa sembra chiara: non solo Jeremy Corbyn ma tutto il Labour Party hanno avuto una performance di grande successo e responsabilità in queste elezioni. Molti candidati Labour, e sicuramente moltissimi militanti che avevano una posizione di grande scetticismo rispetto alla campagna sul Referendum di Corbyn hanno deciso di mettere da parte divisioni e frizioni interne, per combattere insieme il nemico comune esterno: la destra.

Questo è un segnale di enorme maturità politica per un partito spaccato che cerca di ritrovare la propria identità mentre affronta incredibili sfide interne ed esterne. Un segnale che il Partito democratico farebbe bene a cogliere e replicare.

(Questo articolo è apparso il 9 giugno su www.italiaincammino.it)


 
 
 

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