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Pedro Sanchez rinconquista il PSOE

  • Francesco Cuccuini, Andrea Betti
  • 28. Mai 2017
  • 3 Min. Lesezeit

Pedro Sanchez recupera la leadership del Partido Socialista Obrero Español dopo soli sette mesi dalla propria temporanea uscita di scena. Nell’ottobre scorso, al termine di un conflitto dai toni piuttosto aspri, Sanchez era stato sfiduciato dal Comite Federal del PSOE.

La motivazione principale che aveva spinto i leaders regionali del partito ad una scelta cosí drastica era stata la assoluta contrarietà di Sanchez ad una astensione dei socialisti nel parlamento che permettesse la nascita dell’attuale governo Rajoy. Sanchez non partecipò a quella votazione, si dimise il giorno prima dal proprio seggio parlamentare, ottenendo la solidarietà di una quindicina di deputati che decisero di aggirare la disciplina di partito votando NO al governo del Partido Popular.

La decisione, particolarmente drammatica in un Paese nel quale socialisti e popolari erano sempre stati alternativi, avviò un dibattito particolarmente acceso nella militanza, divisa fin da subito fra l’opzione del “NO es NO!” al governo di destra e la necessità di permettere la formazione di un governo e chiudere la lunga fase di instabilitá politica. Questa seconda posizione, definita dai propri estensori di “responsabilità nazionale”, è stata fin da subito sostenuta da quasi tutti i pesi massimi della storia del partito – Felipe Gonzalez, Alfonso Guerra, Jose Luis Rodriguez Zapatero – oltre che dalla gran parte dei leaders e amministratori locali del partito. Fin dalla dipartita di Sanchez, la designata per raccoglierne l’eredità pareva quindi essere Susana Diaz, presidenta dell’Andalusia, la regione a più alta concentrazione di iscritti socialisti.

Contro tali aspettative, Sanchez rivince le primarie condotte fra i 150000 iscritti accorsi alle urne. Ne conquista la maggioranza assoluta, seppur di poco, ma soprattutto vince contro i favori dei principali dirigenti e figure storiche del partito. È il chiaro segnale di una militanza che non ha per nulla digerito l’astensione al governo di Rajoy e che aspira, basandosi sulla promessa di Sanchez in campagna, a “riportare il PSOE a sinistra”, cercando, quando possibile, accordi anche con Podemos, formazione di sinistra antagonista fortemente osteggiata dall’establishment del partito.

In conclusione, emergono da un lato problematiche non dissimili da quelle di molti partiti socialisti europei, come per esempio la dialettica militanza-dirigenza, il dibattito sulla selezione dei candidati o la discussione fra i differenti modi di intendere il socialismo. Dall’altro lato, i socialisti spagnoli devono affrontare la difficile situazione di instabilità in cui si trova ancora oggi il Paese. Nonostante la presenza di un governo monocolore di minoranza (quello di Rajoy), con ogni probabilità si verificherà ancora lo scenario apertosi a partire dalle elezioni del 20 Dicembre 2015.

Da quella data si è aggiunta per il PSOE la pressione di un nuovo ed inedito scenario d'ingovernabilità: la scelta fra un innaturale patto di governo col centrodestra inviso al proprio elettorato, o il tentativo di una difficile esperienza di governo con Podemos e le varie sigle locali ad esso associate.

Il congresso del PSOE, appena concluso, doveva cercare di risolvere il dubbio su come affrontare questa sfida. I militanti, votando Pedro Sanchez, hanno parlato chiaro: mai più un accordo con la destra, portatrice di politiche inique e accerchiata da diversi scandali di corruzione. Il PSOE ha scelto di essere alternativo al PP.

Tuttavia, l’incognita resta, e lo stesso Sanchez durante la campagna fra gli iscritti ha mantenuto posizioni in parte contraddittorie. All’inizio ha parlato della possibilitá di riconsiderare il rapporto con Podemos, sostenendo che fosse un errore considerarli populisti. Verso la fine della campagna si è mantenuto invece su posizioni piú caute, parlando genericamente di alleanza con “tutti i progressisti”. Sanchez ha già fallito due volte l’obiettivo di portare Podemos su posizioni più compatibili con un governo del PSOE. Nel frattempo Podemos non pare aver moderato i propri convincimenti iniziali. Se da un lato i propri dirigenti esultano per la vittoria di Sanchez, dall’altro continuano a mantenere intatte le proprie richieste di non rispettare le condizioni fiscali della Commissione Europea e di convocare un referendum sull’indipendenza della Catalunya.

In mancanza di un vero dibattito su una possibile riforma elettorale, a parte qualche vago accenno nel programma, sconfitto, di Susana Diaz, la necessità di realizzare patti e alleanze di governo sembra essere per il momento l’unica alternativa per i socialisti spagnoli. Resta da capire in quale direzione sarà possibile farli. Nonostante la scarsa governabilità di questi ultimi anni, infatti, la maggiorparte degli elettori spagnoli continua a preferire uno scenario multipartitico.


 
 
 

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